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24/11/2022
Indonesia, un arcipelago da scoprire
Le Isole della Sonda, Flores e Sumba, la loro storia e le loro credenze, il Parco Nazionale di Komodo e il magico mondo di Raja Ampat, l’Ultimo Paradiso.

Flores, il Parco Nazionale di Komodo e Sumba
I primi antropologi a compiere ricerche sulle culture dell’arcipelago indonesiano sono stati gli Olandesi, che sono anche quelli che poi hanno iniziato ad imporvi il proprio dominio coloniale. La Seconda guerra mondiale ha posto fine bruscamente al lavoro di ricerca e la conquista dell’indipendenza e la successiva proclamazione della Repubblica Indonesiana nel 1949 hanno decretato la fine della ricerca etnografica olandese. A partire dagli anni ’50 antropologi americani, inglesi e francesi hanno preso il posto degli olandesi.
Il popolamento dell’arcipelago è iniziato nel Paleolitico, circa 40.000 anni fa, con un’ondata migratoria proveniente dall’Asia Orientale. I primi coloni sono gli antenati degli aborigeni australiani e della Papua Nuova Guinea e sono stati gli unici abitanti dell’arcipelago fino a circa 4.000 anni fa, quando arrivarono dei gruppi di ceppo mongolico, originari della Cina meridionale che hanno colonizzato inizialmente l’isola di Formosa e le Filippine, entrando nel Borneo circa nel 2.000 a.C.
 
Questi ultimi, a differenza dei primi, erano dei coltivatori e portarono con sé delle tecniche di coltivazione più avanzate. Praticavano la coltivazione del riso, avevano degli animali, costruivano abitazioni su palafitte, sapevano tessere e filare, fabbricavano vasellame e navigavano su imbarcazioni a vela.

Le piccole isole della Sonda, iniziano a est di Giava con Bali e per i geografi esse si trovano a sud della regione che separa due altopiani (Sunda a oveste Sahul a est, oggi sotto la superficie dell’acqua) e gli specialisti chiamano questa zona Wallacea, in ricordo del naturalista Wallace.
Generalmente si pensa che non sia mai esistito un “ponte” tra il prolungamento dell’Asia sud-orientale, cioè le odierne isole di Sumatra e Giava da una parte e l’Australia e la Nuova Guinea dall’altra, però non si è ancora trovata una spiegazione per la presenza a Flores a Timor di resti di ossa fossilizzate di “stegodon”, una specie di elefante.
 
In un periodo che va dai 60.000 ai 40.000 anni a.C., un gruppo di abitanti dell’Australia e della Nuova Guinea attraversarono la regione chiamata Wallace e alcuni di loro vi si insediarono ed è proprio nel contesto di queste popolazioni che vanno ricercate le origini delle costruzioni di grandi insiemi di pietre grezze (Flores), delle tombe ornate con sculture (Sumba) o delle scuture di pietra (Flores, Sumba e Timor).
Flores, l’isola a forma di serpente 

L’isola presenta una grande varietà linguistica ed etnica, aspetto che ha tenuto “occupati” gli antropologi per secoli. Probabilmente tale varietà è dovuta alla conformazione del territorio che non permetteva facili comunicazioni tra le popolazioni delle montagne e quelle delle pianure. Anche se l’Indonesiano (Bahasa Indonesia) è la lingua officiale, le lingue locali sono ancora tenute in considerazione e queste appartengono tutte alle cosiddette lingue Austro-Polinesiane. Flores può essere suddivisa nelle entità etnolinguistiche di Komodo, Manggarai, Ngada, Nagekeo, Ende, Lio, Sikka, Tana-Ai, Larantuka e Lamaholot.
 
Contrariamente al fatto che l’Indonesia è il più grande paese musulmano in termini di popolazione, più dell’85% dei Florenesi sono cattolici, ma anche se il Cristianesimo ha conquistato l’isola, molti elementi dei sistemi di credenze che esistevano prima dell’arrivo dei missionari Cattolici sono ancora presenti.
 
A Flores, così come in altre parti dell’Indonesia Orientale, i sistemi di credenza tradizionali sono basati sul concetto degli opposti complementari, ad esempio, uomo/donna, interno/esterno, cielo/terra, montagna/mare, vecchio/giovane. Questi opposti sono concepiti come coppie interagenti del cerchio della vita. Nel passato e in qualche modo anche nel presente, le persone erano impegnate a tenere questo cerchio chiuso e ad assicurare la continuità della vita attraverso attività rituali.
 
Molte società Florenesi usavano condividere la nozione di una divinità con un doppio genere: aspetti maschili e femminili che si integrano, la divinità mantiene la ruota della vita in movimento, purchè la popolazione non si dimentichi i rituali adeguati e le offerte cerimoniali.
 
Oltre a questo essere divino, anche gli spiriti degli antenati sono una forza trainante nel cerchio della vita poiché si ritiene che essi interagiscano con gli esseri viventi, anch’essi devono essere placati con frequenti offerte. Inoltre, si pensa che ci siano sia spiriti benigni che interferiscono nella vita quotidiana delle persone, ma anche spiriti maligni che portano sfortuna, malattia e morte.
 
La vita quotidiana a Flores è ancora impregnata di concetti e pratiche magiche. Quasi ogni villaggio ha il suo proprio tempat angker, i ‘luoghi infestati’ dove si incontrano gli spiriti (attorno alla casa, negli alberi o nelle rocce…)
In ogni villaggio si può trovare un dukan, un guaritore, che usa la medicina tradizionale e le pratiche rituali per aiutare le persone a risolvere i loro problemi di salute fisica o mentale. Il dukan possiede la conoscenza rituale che gli consente di comunicare con gli spiriti.
 
Le attività rituali sono parte di un insieme di pratiche consuetudinarie, a cui ci si riferisce con il termine adat. Le procedure rituali tradizionali sono ancora seguite, soprattutto nelle fasi transitorie della vita di una persona: nascita, matrimonio, morte, educazione e la costruzione di una casa, ma anche per i momenti importanti del ciclo di coltivazione, come il piantare e il raccolto.
 
Il termine adat¸ che si può tradurre con pratica consuetudinaria, si usa in tutta l’Indonesia e generalmente si usa tale termine per riferirsi al ‘modo di vivere dei propri antenati’. Il concetto di adat va oltre il sistema di credenze e include anche questioni morali, legali, sociali e materiali.
 
L’adat non è stato completamente sostituito dal Cattolicesimo o dallo stato, ma è stato integrato in queste formazioni. Ad esempio, nelle questioni matrimoniali, le pratiche adat sono ancora forti. Il matrimonio tradizionale a Flores si basa spesso su un sistema di ‘ricchezza della sposa’, che stabilisce una rete di dipendenze e responsabilità reciproche. 
Con uno scambio cerimoniale di beni, bestiame e denaro, le famiglie della coppia sposata sono legate tra loro.
 
Si praticano ancora dei rituali per mantenere gli spiriti ancestrali ben disposti. Moti di questi rituali richiedono il sacrificio di animali: polli per piccoli rituali; maiali, mucche e bufali per eventi importanti come i matrimoni. Agli spiriti ancestrali ci si deve rivolgere in uno speciale linguaggio rituale, che è conosciuto solamente dai ketua adat, gli uomini anziani del villaggio.
 
Spesso si tengono delle cerimonie collettive nella casa adat del villaggio. Oltre a queste cerimonie collettive che si tengono generalmente una volta all’anno o più raramente, rituali privati sono più frequenti per assicurarsi che gli antenati si prendano cura del benessere della famiglia.
 
 

In veliero nel Parco di Komodo
Il Parco Nazionale di Komodo, situato al centro dell'arcipelago indonesiano, tra le isole di Sumbawa e Flores, è composto da tre isole maggiori, Rinca, Komodo e Padar e numerose isole minori, tutte di origine vulcanica. Situato alla congiunzione di due placche continentali, questo parco nazionale costituisce la "cintura in frantumi" all'interno della regione biogeografica di Wallacea, tra gli ecosistemi Australiano e della Sonda. La proprietà è identificata come un'area prioritaria di conservazione globale, che comprende ecosistemi terrestri e marini senza precedenti e copre un'area totale di 219.322 ettari. Il clima secco ha innescato uno specifico adattamento evolutivo all'interno della flora terrestre che va dalla savana boschiva aperta alla foresta decidua tropicale (monsonica) e alla quasi foresta pluviale. Le aspre colline e la vegetazione secca contrastano fortemente con le spiagge sabbiose e le acque blu ricche di corallo.

L'abitante più straordinario del Parco Nazionale di Komodo è la lucertola di Komodo, Varanus komodoensis. Queste lucertole giganti, che non esistono in nessun'altra parte del mondo, sono di grande interesse scientifico, soprattutto per le loro implicazioni evolutive. Più comunemente noto come "drago di Komodo", per il suo aspetto e il comportamento aggressivo, la lucertola di Komodo è la più grande specie vivente di lucertola, raggiungendo una lunghezza media di 2 o 3 metri. La specie è l'ultimo rappresentante di una popolazione reliquia di grandi lucertole che un tempo vivevano in Indonesia e in Australia. Oltre ad essere la dimora del drago di Komodo, il Parco offre rifugio a molte altre specie terrestri degne di nota come la gallina dai piedi arancioni, un ratto endemico e il cervo di Timor. Le ricche barriere coralline di Komodo ospitano una grande diversità di specie, e le forti correnti del mare attirano la presenza di tartarughe marine, balene, delfini e dugonghi.
Il Parco Nazionale di Komodo è un paesaggio di contrasti tra aspri pendii della savana secca, sacche di vegetazione spinosa, spiagge di sabbia bianca brillante e acque blu che si infrangono sul corallo, senza dubbio uno dei paesaggi più drammatici di tutta l'Indonesia. Dimostrando un'eccezionale bellezza naturale che è tanto più notevole come contrappunto alla rigogliosa vegetazione dominante che caratterizza vaste aree dell'Indonesia boscosa e con cui la maggior parte del mondo associa l'arcipelago. Una costa irregolare caratterizzata da baie, spiagge e insenature separate da promontori, spesso con scogliere a strapiombo che cadono a picco sui mari circostanti che si dice siano tra i più produttivi al mondo, aggiunge alla straordinaria bellezza naturale dei paesaggi dominati da tipi di vegetazione contrastanti, fornendo un patchwork di colori.
Sumba, l’isola delle tombe di pietra

Arrivando a Sumba si resta colpiti dalle imponenti tombe di pietra, al centro dei villaggi tradizionali, alcune poggiano su sostegni di pietra incisa come i dolmen dell’Europa del nord, altre sono ampie stanze che hanno accanto un “bandiera” (penji) a mò di cimiero e una “coda” (kidu) di dimensione inferiore. Quasi tutte sono decorate da intricate incisioni: tartarughe, coccodrilli e figure umane nell’est dell’isola, corna di bufalo, gong, cavalli e cani nell’ovest.
Le immagini delle sculture funerarie delle due parti dell’isola sono accumunate dall’idea di onorare il morto attraverso l’esibizione dei suoi possedimenti. Le figure incise in rilievo non sono i proprietari, ma gli schiavi. Gli animali, i gioielli d’oro e gli strumenti musicali, fanno tutti parte dello splendido sfoggio di una ricchezza che si pensa assicuri un alto rango nell’aldilà.
 
Ancora oggi, un gran numero di Sumbanesi continua ad aderire alla religione marapu, che consiste nella venerazione degli antenati e di vari spiriti locali che dispensano loro i doni della prosperità, della fertilità e della ricchezza. Le differenze tra le due parti dell’isola sono molto evidenti nelle cerimonie che si tengono per estrarre dalla cava le pietre destinate alle tombe, negli elementi decorativi per inciderle e nei funerali. La popolazione orientale dell’isola vive in un sistema semifeudale rigidamente stratificato presieduto da una classe ereditaria di nobili, ancora influente.
I Sumbanesi occidentali partecipano ad una serie di suggestive feste durante le quali si pratica lo scambio e il sacrificio dei bufali d’acqua. Tra le più importanti vi sono quelle in occasione dell’estrazione della pietra e le feste in cui si celebra il completamente di una tomba imponente.
 
I villaggi importanti da un punto di vista rituale, sia orientali che occidentali di Sumba, sono disposti intorno alle tombe dei morti. Accanto alle tombe di pietra degli antenati fondatori era collocato un gruppo di altari con diverse destinazioni. Il più famoso era “l’albero del teschio”, solitamente un palo biforcuto piantato in una base di pietra, adibito ai trofei della caccia alle teste.
 
Tutti i Sumbanesi sono legati ad una delle grandi case rituali di un villaggio fortificato, ma perlopiù vivono altrove. Tornano ai loro villaggi ancestrali per i riti legati alle ricorrenze, come ad esempio la pasola (la simulazione di una battaglia) che festeggia lo sciamare annuale dei molluschi e per i funerali.
 
Nell’arco delle loro vite i Sumbanesi vivono in semplici abitazioni senza pretese vicino ai loro orti, ma dopo la morte, i loro spiriti chiedono di ottenere la più durevole rinomanza con una tomba di pietra. Ed è l’estrazione di enormi pietre tombali e i molti anni passati nell’inciderle e decorarle a costituire il dispendio maggiore di fatica e di denaro. La pietra viene chiamata “giovane fanciulla” quando si acquista dai proprietari della cava, i quali ricevono una “dote” consistente in bufali e cavalli. Poi viene trascinata con liane in una “barca” – una slitta fatta di tronchi di cocco – in modo che possa viaggiare lungo la risacca e poi su per la collina fino alla destinazione finale.
 
C’è tutto un rituale particolare per trasportare la pietra dalla cava al villaggio e quando vi giunge, la sua identità subisce un nuovo mutamento e si spoglia del suo stato inerte per diventare un’audace guerriero che ha sconfitto gli elementi. Vengono eseguite danze di guerra e le donne fanno ondeggiare le braccia, nel tentativo di placare i guerrieri e di calmarli. La grande lastra di pietra viene detta la sezione maschile, mentre la cavità inferiore è femminile.
I Sumbanesi vedono la morte come un nuovo inizio. Essi cominceranno una nuova vita dopo la morte e vivranno accanto al loro marapu quando moriranno. Poiché la strada percorsa dai loro antenati pensano fosse – dal cielo, a Malacca e poi attraverso il mare all’isola di Sumba – i Sumbanesi credono che se una persona muore, il suo spirito, percorrerà la stessa rotta per raggiungere il cielo. Di conseguenza, ad una persona che muore devono essere date tutta una serie di provviste, per accompagnarla nel suo viaggio. Quando tutte i preparativi sono completati, il corpo viene messo in un buco per terra. Poi, una pietra liscia viene posta sopra di esso e una tavola di pietra sopra di essa.

Raja Ampat, l’Ultimo Paradiso
Storicamente la Nuova Guinea fu divisa in due parti dai poteri coloniali, la metà occidentale occupata dai Tedeschi e la metà orientale sotto il controllo Australiano. La metà orientale guadagnò l’indipendenza nel 1975 e diventò Papua Nuova Guinea. La metà Tedesca fu incorporata dall’Indonesia nel 1969, vent’anni dopo l’indipendenza del paese dall’Olanda. Originariamente chiamata Irian Jaya, questo territorio oggi porta il nome di West Papua. Nella sua parte più occidentale, si trova un gruppo di piccole isole, Waigeo, Batanta, Salawati e Misool, conosciute collettivamente come Raja Ampat o i “Quattro Re”.
Coprendo un’area di 50.000 kmq e comprendendo numerose piccole isole sparse attorno alle principali, Raja Ampat ha delle zone interne montuose e vaste estensioni di mangrovie, spiagge di sabbia bianca e scogliere tropicali lussureggianti. È anche un’area per i cetacei, con diverse specie di balene e delfini.

I primi Europei a mettere piede a Raja Ampat sono stati i commercianti di spezie nel quindicesimo secolo. A quel tempo la West Papua era sotto il controllo del Sultano di Tidore in Malacca. L’avventuriero Inglese William Dampier e il Francese Louis de Bougainville navigarono nelle sue acque rispettivamente nel diciassettesimo e diciottesimo secolo. L’impressionante bellezza dei suoi paesaggi e delle sue scogliere fu descritta la prima volta da Sir Alfred Wallace, che trascorse parecchi mesi Waigeo nel 1860, studiandone la flora e la fauna. I suoi studi portarono all’elaborazione della teoria dell’evoluzione con il suo contemporaneo collega Charles Darwin. Inoltre, i suoi studi hanno portato alla definizione di quella che è diventata successivamente nota come la Linea di Wallace che divide l’arcipelago indonesiano in due aree chiaramente definite, ognuna con una diversa fauna e flora appartenenti rispettivamente all’Asia e all’Australia.
Oggi, circa 60.000 persone vivono sparse in un centinaio di villaggi, situati principalmente lungo la costa di Raja Ampat, in case costruite su palafitte. Discendenti di matrimoni tra i Papuani e Indonesiani e con marcate caratteristiche Melanesiane, la popolazione locale vive di un’economia di sussistenza basata su una dieta a base di pesce, taro e frutta e verdura. La copra, la polpa seccata della noce di cocco – è un prodotto diffuso.
 
Raja Ampat è rimasta nell’oblio fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia, circa 30 anni fa, delle persone amanti del mare e di immersioni hanno cominciato a rendersi conto dell’incredibile potenziale di questo luogo ed è grazie a loro – Edi Frommenwiler e Max Ammer in particolare – che l’area ha visto un interesse sempre crescente nonostante la sua lontananza.
 
Oggi queste isole meravigliose stanno diventando l’ultima Mecca per gli appassionati di snorkeling e immersioni che sperimenta un Paradiso Sottomarino
 
L’isola della Nuova Guinea condivide la stessa placca tettonica dell’Australia e infatti è separata da essa solamente dallo Stretto di Torres. Per la maggior parte del recente passato geologico, le due terre erano unite ed è solo negli ultimi 10.000 anni, quando il livello del mare si è alzato, che si sono separate. Questo è chiaramente visibile dalla particolare fauna dell’isola, che include marsupiali come i canguri degli alberi, l’echidna, il coscus, una testimonianza del legame geologico tra la Nuova Guinea e l’Australia. Essendo rimasta isolata per molto tempo, non sorprende che West Papua ospiti una grande varietà di specie endemiche. L’abbondanza di cibo e l’assenza di predatori, ha contribuito a creare un ambiente ideale per la specializzazione evolutiva. Così, la metà degli animali e delle piante della Nuova Guinea non si trovano da nessun’altra parte del mondo. Ci sono circa 16.000 specie di piante, un terzo delle quali sono orchidee.
Raja Ampat presenta anche una ricca foresta prevalentemente di pianure che condivide con la Penisola di Bird Head. Uccelli del paradiso, casuari, pappagalli di tutti i colori e misure e deliziosi piccioni coronati vivono in questo luogo. Di un totale id 677 specie di uccelli presenti in West Papua, 255 sono presenti a Raja Ampat e cinque di questi sono endemici.
 
Ma è il mondo sottomarino dove la lista diventa veramente impressionante. L’ultimo studio rivela la cifra di 1.400 specie di pesci di barriera, dei quali 19 sono specifici delle acque di Raja Ampat. Anche le specie di coralli sono tantissime, con più di 550 coralli presenti nelle sue acque, dei quali più di 20 specie erano sconosciute alla scienza e si ritiene siano uniche della regione. In ogni caso più del 75% delle specie di corallo esistenti al mondo sono presenti qui.
 
Secondo gli scienziati che hanno studiato questa regione, la ragione alla base di questa varietà e unicità di vita marina è dovuta alle correnti oceaniche che portano le larve dei pesci e dei coralli attraverso le aree più lontane nell’Indo-Pacifico per tutto il cosiddetto Coral Triangle, che comprende le Filippine, la metà orientale dell’Indonesia, la Papua Nuova Guinea e le Isole Salomone. Raja Ampat sembra essere nel mezzo di questo “incrocio biologico”, giocando un ruolo importante non solo nella riproduzione e diffusione di molte specie diverse di vita nelle regioni adiacenti, ma agisce anche come una sorta di “fabbrica di specie”, generando le proprie forme di adattamento della vita che non si trovano da nessun’altra parte del mondo.
Un’altra ragione importante dietro questa sorprendente diversità di Raja Ampat è la sua enorme varietà di habitats, dalle baie riparate dalle mangrovie, alle scogliere ripide, dalle barriere coralline agli atolli, alle lagune cariche, ognuna delle quali ha le proprie specie. Ogni nuova ricerca nell’area rivela nuove specie e sicuramente ce ne sono ancora molte da scoprire.
 
La conservazione marina e la gestione sostenibile delle risorse a Raja Ampat sono priorità assolute per i governi nazionale, provinciale e regionale. Con il riconoscimento che la regione contiene un ricco stato naturale che non si trova in nessun'altra parte del mondo, il governo e le comunità locali, in collaborazione con Conservation International (CI), The Nature Conservancy (TNC) e Worldwide Fund For Nature (WWF) hanno istituito una rete di Aree Marine Protette (AMP) sotto la giurisdizione dei governi centrali e provinciali. La prima AMP di Raja Ampat è stata istituita nel 2004, mentre la più recente è stata istituita nel 2019. Queste AMP comprendono ora  2.000.109  ettari e tutte le AMP includono zone a uso multiplo che regolano le attività consentite e vietate all'interno dei loro confini.