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08/11/2022
Pillole dall'Orissa
Le comunità tribali dei Bonda e il Tempio del Sole di Konark

I Bonda
 
L’India aborigena ha sempre suscitato un vivo interesse tra gli etnologi, preoccupati di scoprire chi furono i primi abitanti di questo territorio prima dell’arrivo dei Caucasici (Ariani) dell’Asia centrale più di 2.000 anni fa. È generalmente accettato il fatto che gli abitanti originari dell’India facessero parte di tribù che gli invasori ricacciarono verso le regioni più inospitali, quando le colonizzarono. Conducendo un’esistenza isolata, le tribù del Centro e dell’Est hanno potuto conservare per lungo tempo il loro modo di vivere. È solo recentemente, con l’apertura delle frontiere commerciali e l’implementazione di piani di sviluppo governativi che queste tradizioni stanno cominciando a sparire. Tuttavia alcune tribù Bonda, Gadaba e Koya, seminomadi dell’Orissa che praticano la coltura ‘taglia e brucia’, restano ancora legati ai loro costumi tradizionali.
 
I Bonda (o Bondos) si designano essi stessi come Remo, che significa “uomini”. Gli etnologi ne hanno fatto l’esempio rappresentativo del ceppo austro-asiatico della razza indiana. Abitano le regioni montuose a nord-ovest del fiume Machkund e si distinguono dalle altre tribù dell’Orissa per la loro lingua, i loro costumi, ma più in particolare per la loro forte inclinazione ai combattimenti mortali.
 
Le origini e la filiazione dei Bonda sono oscure. Se crediamo alla loro mitologia, essi discendono da uno dei dodici fratelli gadaba (un’altra etnia alla quale sono spesso associati), nato sulle rive del fiume Godavari e poi partito per sistemarsi sui monti Jeupore dell’Orissa. In realtà si pensa che appartengano al grande gruppo austro-asiatico che, durante il periodo neolitico, ha sviluppato una cultura avanzata e complessa. Quest’ultima si caratterizza per il culto delle divinità in pietra (erezione di megaliti a forma di menhir, cerchi di pietra e dolmen), la cultura del riso in terrazze irrigate, la domesticazione del bestiame destinato all’abbattimento e ai sacrifici e infine, all’arte della tessitura.


Geograficamente i Bonda si suddividono in tre gruppi: i Bara-jangar, i Gadaba Bonda e i Bonda delle pianure. I primi sono considerati come i “puri” Bonda.
 
Essendo venuti in contatto con gli Induisti da molto tempo, il terzo gruppo ha cominciato a rinnegare tutte le caratteristiche della loro cultura suscettibile di incoraggiare il disprezzo dei loro vicini. Per questo motivo i due gruppi delle montagne disprezzano quelli delle pianure e i matrimoni tra questi gruppi sono perciò rari. Nonostante i continui conflitti, nessun muro né palizzata proteggono i villaggi bonda. Ognuno di essi presenta una piattaforma megalitica, chiamata sindibor che costituisce il centro della vita sociale e religiosa, vicino al quale si trova il santuario, hundi, dedicato ad una divinità. 
 
 

La casa bonda è indipendente. Ogni famiglia dispone di più capanne dove vivono i parenti, i figli sposati e a volte altri membri della famiglia. La tettoia sotto la quale le persone si siedono per lavorare e discutere e il fienile, costituiscono i due elementi principali della casa.
 
I muri sono fatti di fango e dei pilastri in legno sostengono un tetto di erba. La costruzione dell’edificio, leggermente sopraelevata per non far passare la pioggia, comincia sempre con l’erezione del pilastro centrale attorno al quale i Bonda fissano una foglia di mango, per “attirare i morti e gli dei”. La veranda è generalmente il luogo dove si macina e si spula il grano, dove si pulisce il riso e il miglio e dove si tessono i tappeti.
 
La struttura esogamica della società bonda presenta tre livelli diversi: il villaggio, il gruppo totemico (bonso) e il clan. Il villaggio rappresenta uno spazio sacro, i cui limiti sono protetti da riti magici.
 
Gli uomini considerano le donne del villaggio come delle “madri” o delle “sorelle”, con le quali tutte le relazioni amorose sono vietate. I Bonda sostengono che si devono sposare persone che appartengono a sindibor diversi e che mangiano un altro alimento soru (insieme del cibo preparato specialmente per le feste e le cerimonie rituali).
I Bonda delle montagne si raggruppano sotto due grandi totems: i Cobra i la Tigre, mentre quelli delle pianure sono il Sole, la Scimmia, il Pesce e l’Orsa.
 
I Bonda intrattengono una relazione particolare con i membri dei loro villaggi o quelli dei villaggi vicini. È una forma d’amicizia rituale, chiamata moitur. Gli amici rituali devono sempre sostenersi l’un l’altro.
 

La dipendenza economica dei Bonda con l’esterno è molto limitata. In effetti essi fabbricano tutto ciò di cui hanno bisogno, tranne alcuni utensili da cucina, dei contenitori e dei gioielli in cuoio o di perline che comprano. Essi tessono la maggior parte del loro abbigliamento, distillano l’alcol e coltivano il tabacco. La caccia è stata abbandonata e l’arco e le frecce che ancora portano gli uomini sono diventati dei simboli.
 
Come in tante altre società, le donne sono quelle che hanno la maggior parte dei compiti. Oggi l’economia bonda si basa principalmente sull’agricoltura e l’allevamento di bovini, capre, galline e galli.
 
I Bonda praticano tre tipi di sfruttamento del suolo. I versanti ripidi sono riservati alla coltivazione itinerante. Più in basso si coltivano cereali su terreni lavorati e infine, i campi irrigati e terrazzati sono destinati alla coltivazione del riso. L’aumento della popolazione e il disboscamento della regione, stanno rendendo la coltivazione itinerante sempre più difficile.
 
La cultura itinerante si fonda su delle pratiche semplici che cominciano in marzo dopo una cerimonia celebrata dal prete. All’inizio, gli uomini e le donne cominciano a disboscare e a tagliare tutto eccetto gli alberi da frutta. La vegetazione tagliata viene bruciata e le ceneri sono sparse sul terreno. Preceduta da offerte di pesce e riso alla divinità delle radure che assicurano la fertilità del suolo, la semina comincia solo dopo le piogge. Il primo anno, si seminano il maggior numero di cereali possibili, ma si riserva il miglio per l’anno successivo. Il terzo anno, i Bonda dicono che “la terra produce quello che vuole” e quindi la semina è meno importante.
 
La roccia e la pietra hanno un peso considerevole nella cultura bonda. I villaggi sono spesso costruiti in mezzo alle rocce e la pietra. La pietra è un simbolo fondamentale nei rituali bonda. Il sindibor¸ è un cerchio di pietre votato al culto della terra. Le pietre che si trovano ai lati di tutti i sentieri hanno lo scopo di neutralizzare gli spiriti maligni, simboleggiano le divinità.
 
I Bonda credono all’esistenza di un essere supremo, il cui nome in sanscrito Mahaprabhu significa “grande signore”, sarebbe legato a quello di Chaitanya, il fondatore di un ordine religioso hindu in Orissa. Alla fine della sua vita, quest’ultimo si sarebbe recato a Puri, luogo di pellegrinaggio, dove si trova il tempio del dio Jaganah.
 


Il culto del dio Jaganah è un elemento fondamentale per comprendere il mondo dell’Orissa. All’origine si pensa che questa divinità fosse venerata dalle tribù saora e che abbia raggiunto il tempio attuale per ordine del re di Puri. Il termine mahaprasad¸ con il quale si designa l’amico rituale, significa d’altronde “quelli che hanno condiviso il cibo sacro presentato come offerta al dio Jaganah”. Sapendo che la cultura oriya (gruppo etnico dominante dell’Orissa) ha esercitato un’influenza considerevole su quella dei Bonda, non è sorprendente che questi ultimi abbiano integrato dei termini oriya nelle loro preghiere e formule magiche, pensando che le divinità saranno più clementi se i loro nomi saranno invocati nella lingua di una “cultura superiore”.

Tuttavia, i Bonda non attribuiscono il nome Mahaprabhu al dio Jaganah, ma al Creatore, cioè al Sole. Per designare il creatore del mondo, la lingua bonda usa anche il nome composto Singi-Arke (Sole e Luna).
Secondo il mito bonda, all’inizio, il mondo non esisteva. Poi un giorno, Mahaprabhu l’ha creato. Una tartaruga ha ingoiato lo sputo che l’ha fecondata. Impietosito per le sorti del povero animale che non riusciva a partorire e che non poteva più muoversi a causa del grosso ventre, Mahaprabhu fece un buco nel carapace e fece uscire una bambina. Una volta cresciuta, essa domandò alla tartaruga il nome di suo padre e l’animale le rispose che si trattava di Mahaprabhu.

La ragazza andò allora a cercarlo e lui negò il fatto ma accettò di tenerla con sé. Qualche anno più tardi, la ragazza cercò di obbligarlo a fare l’amore con lei. Furioso, il dio la uccise con un coltello. Dal suo sangue nacque allora la terra, dall’occhio destro il sole e dal sinistro la luna. Il suo scheletro formò le montagne e i suoi capelli si trasformarono in legumi. Infine, Mahaprabhu fece uscire dal suo ventre un ragazzo e una ragazza che più tardi crearono l’umanità. Il concetto di Mahaprabhu non è l’unica testimonianza dell’influenza dell’Induismo e prove ne è il modo in cui i Bonda spiegano la morte. Essi credono che la vita sia dovuta alla presenza di un’anima, chiamata jimo, deformazione del nome sanscrito jiva.

L’individuo muore quando Mahaprabhu invia i suoi funzionari a portare l’anima nel mondo celeste. Come gli Indù, i Bonda praticano la cremazione.
Le donne Bonda indossano un gonnellino molto corto, tessuto da loro e sono a torso nudo, ma il seno viene coperto da tantissime collane di perline che utilizzano anche come copricapo e attorno al collo portano delle grosse collane di metallo. Nei mesi più freddi usano anche una stoffa per coprirsi le spalle.

Il Tempio del sole di Konark

Il tempio Konark o Konarak Sun è dedicato al dio del sole indù Surya e, concepito come un gigantesco carro di pietra con 12 ruote, è il più famoso dei pochi templi del sole costruiti in India. Si trova a circa 35 km a nord-est della città di Puri, sulla costa nello stato di Odisha (prima Orissa). Fu costruito c. 1250 d.C. dal re Narasimhadeva I (r. 1238-1264 d.C.) della dinastia dei Ganga orientale (VIII secolo d.C. - XV secolo d.C.). Il tempio nel suo stato attuale è stato dichiarato dall'UNESCO Patrimonio dell'Umanità nel 1984 d.C. Sebbene molte porzioni siano ora in rovina, ciò che resta del complesso del tempio continua ad attirare non solo turisti ma anche pellegrini indù. Konarak si pone come un classico esempio di architettura del tempio indù, completo di una struttura colossale, sculture e opere d'arte su una miriade di temi.
 
I Ganga orientali stabilirono il loro regno nella regione di Kalinga nell'India orientale (l'attuale stato dell'Odisha) "all'inizio dell'VIII secolo d.C." (Tripathi, 368), sebbene le loro fortune aumentarono dall'XI secolo d.C. in poi. Il più grande re di questa dinastia fu Anantavarman Chodaganga (1077 - 1147 d.C.), che regnò per circa 70 anni. Non era solo un formidabile guerriero, ma anche un mecenate delle arti e favoriva molto la costruzione di templi. Il grande tempio del dio Jagannatha a Puri, iniziato da lui, "si erge come un brillante monumento al vigore artistico e alla prosperità dell'Orissa durante il suo regno" (Majumdar, 377). I suoi successori continuarono la tradizione, con il più notevole Narasimhadeva I che non solo completò la costruzione del tempio di Jagannatha ma anche del tempio di Konarak.
 
La parola 'Konark' è una combinazione di due parole sanscrite kona (angolo) e arka (il sole). Implica quindi che la divinità principale fosse il dio del sole e che il tempio fosse costruito in una forma angolare. Il tempio segue lo stile architettonico Kalinga o Orissa, che è un sottoinsieme dello stile nagara dell'architettura del tempio indù. Si crede che lo stile Orissa mostri lo stile nagara in tutta la sua purezza. Il nagara era tra i tre stili dell'architettura presenti nei templi indù in India e prevaleva nell'India settentrionale, mentre nel sud predominava lo stile dravida e nell'India centrale e orientale era lo stile vesara. Questi stili possono essere distinti dal modo in cui elementi come la pianta e il prospetto sono stati rappresentati visivamente.
 

Lo stile nagara è caratterizzato da una pianta quadrata, contenente un santuario e una sala delle udienze (jagamohana). In termini di elevazione, c'è un'enorme torre curvilinea (shikhara), inclinata verso l'interno e incappucciata. Nonostante il fatto che Odisha si trovi nella regione orientale, fu adottato lo stile nagara. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che poiché i domini di re Anantavarman includevano anche molte aree dell'India settentrionale, lo stile prevalente lì ha avuto un impatto decisivo sui piani architettonici dei templi che stavano per essere costruiti nell'Odisha dal re. Una volta adottata, la stessa tradizione fu continuata anche dai suoi successori e con il tempo furono apportate molte integrazioni.
 
Il tempio è rivolto a oriente e sull’architrave del suo portale si trova la lastra “dei nove pianeti più imponente di tutta l’India”. Sui vari ordini del tetto piramidale del jagamohana vi sono grandi figure di incantevoli fanciulle che suonano vari strumenti musicali e sembrano rivaleggiare con altre più piccole che assumono mille pose di danza nel natamandira (sala delle danze) poco distante. Insieme esse evocano una vera e propria festa di musica e danza per il sole che sorge. Su uno degli ordini si trova rappresentato uno dei più rari aspetti solari di Śiva, il Mārtānda Bhairava che danza sul battello con cui attraversa l’oceano del cielo. Il suonatore di tamburo, il suonatore di cimbali, il trombettiere, la fanciulla che tocca il liuto attestano non solo il talento dello scultore, ma anche la sua conoscenza della prospettiva e degli effetti ottici, poiché egli ha saputo variare le proporzioni delle sue figure a seconda della posizione per rendere la composizione meglio comprensibile a chi la osservi da sotto. Sui tre lati del tempio, grandi nicchie contengono sculture di Sūrya raffigurato in atteggiamenti diversi che rivelano la cura meticolosa impiegata per glorificare la divinità solare nei suoi differenti aspetti.


Bisogna immaginare che in origine la torre e la sala poggiavano su una sorta di piattaforma che rappresentava il carro di Sūrya. Le ruote del carro, un tempo ventiquattro, quante sono le ore del giorno, erano trainate da file di cavalli che rappresentavano i sette destrieri del sole nel suo viaggio attraverso il cielo. Oggi di queste ruote ne rimangono solamente alcune, ma si resta tuttora stupiti davanti al minuzioso lavoro di cesello attuato sulla pietra rosa, porosa e di grana alquanto grossolana, per adornare i cerchi e i raggi giganteschi di una vera profusione di disegni raffiguranti piante rampicanti, animali, uccelli e uomini liberamente mescolati. Il fregio di vivaci elefantini sui cui poggiano le ruote, le processioni di oche, le innumerevoli raffigurazioni di coppie di amanti e di graziose danzatrici, i bassorilievi consacrati alle divinità e ai lokapāla e soprattutto i numerosi episodi tratti dalla vita di Narasimha, il costruttore del tempio, costituiscono un vero tesoro di temi artistici che conferisce colore a questo edificio colossale.

Konarak è menzionato negli antichi testi indù che hanno un significato mitologico come i Purana. Si credeva che Konaditya (Konarak) fosse il luogo più sacro per il culto di Surya nell'intera regione dell'Odisha. In segno di gratitudine per aver curato la sua malattia della pelle, Samba, uno dei tanti figli del dio Krishna, eresse un tempio in onore di Surya. Ha persino portato alcuni Magi (adoratori del sole) dalla Persia, poiché i Brahmana locali (la classe sacerdotale tra gli indù) si erano rifiutati di adorare l'immagine di Surya. Questa storia era associata a un tempio del sole nell'India nord-occidentale, ma fu poi legata a Konarak per "accrescere la santità del nuovo centro rendendolo il sito del tempio originale di Samba" (Mitra, 10).

Konarak, nel tempo, era emersa come un importante sito per il culto del sole e quindi si riteneva necessario uno sfondo mitologico per aumentarne l'importanza per i devoti.
 
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Credits Antonio Cereda