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15/11/2022
Svalbard, il Mal d'Artico
Posso dire che esiste il “mal d’Artico”, racchiuso nel senso di assoluta libertà che si prova al Polo Nord, nella sensazione di distacco da qualsiasi cosa che non sia assolutamente indispensabile per la sopravvivenza, nel confronto costante con le leggi della natura, oltre che con quelle dell’uomo».
CARLO BARBANTE – Direttore di Scienze Polari del CNR.

Dopo più di due anni di fermo forzato, quasi per caso, decido di partire per un viaggio in una terra bellissima e inospitale: l’arcipelago delle Svalbard, a metà strada tra la Norvegia continentale e il Polo Nord. Questo luogo ai confini del mondo, in bilico tra la lunghissima Notte Polare e il Sole di Mezzanotte, è sempre stato terra di passaggio per cacciatori, avventurieri e gente in cerca di fortuna.
 
Dopo un pernottamento in transito a Oslo, un volo interno di circa 3 ore mi porta a Longyearbyen, la capitale dell’arcipelago. L’aeroporto è piccolo e il nastro dei bagagli si snoda intorno ad un plastico di un enorme orso polare. Ritiro il mio borsone, esco dall’aeroporto e il primo e unico cartello stradale che vedo è un segnale di: “attenzione orsi polari”! Penso che forse stiano un po' esagerando o che vogliano creare aspettative, visto che chiunque vada alle Svalbard vorrebbe avvistare questo grande predatore, ma mi accorgerò presto che è necessario informare i viaggiatori di essere in una parte di mondo dove l’uomo è ospite di una natura selvaggia.
Sono atterrata in un altro pianeta, a poche ore da casa.

“Su tutto il territorio delle Svalbard”

Longyearbyen è affacciata sul Mar Glaciale Artico ed è l’ultimo avamposto prima del Polo Nord. Percorro, con un bus locale, l’unica strada che porta dall’aeroporto alla cittadina. La prima impressione è di trovarsi in un luogo sospeso, provvisorio: ci sono container e edifici industriali sul lungo mare, file di casette colorate costruite su palafitte per prevenire allagamenti e tubature a cielo aperto per evitare che gelino durante l’inverno. Detriti abbandonati dell’attività mineraria, ricordano l’origine di questa cittadina. Questo luogo a tratti desolante, non è bello e sembra che tutto sia temporaneo, che la gente debba scappare da un momento all’altro. Ma per la piccola comunità che vive dentro un perimetro di sicurezza oltre il quale ci vai solo armato, questo luogo non luogo diverso da tutto, esercita un’attrazione atavica che fa sentire a casa.
 
È a pochi passi di distanza, superati i confini della città, che l’avventura continua: se vai per mare navighi tra i fiordi oltre il circolo polare artico, se sali i monti circostanti puoi campeggiare in uno dei luoghi più selvaggi del mondo abitato solo da renne e orsi polari, obbligatoriamente accompagnato da una guida locale. Io ho scelto la prima opzione.


Il giorno dell’imbarco il cielo è coperto da grandi nuvoloni e il vento sta aumentando di intensità di ora in ora, ma siamo alle Svalbard e i cambi repentini di clima possono accadere. Rimandiamo la partenza di qualche ora a causa di una tempesta. Il brutto tempo ci seguirà durante tutta la settimana, ma l’abilità del comandante di modificare l’itinerario per cercare le sacche di tempo buono, si rivelerà una grandissima fortuna

Sono a bordo della Motonave Hondius inaugurata nell’estate del 2019 e la prima al mondo ad essere registrata come Polar Class 6, che significa “che soddisfa i più recenti e elevati standard del Lloyd’s Register per le navi da crociera che navigano tra i ghiacci”. La categoria della mia cabina è la più semplice: twin con oblo’ ubicata al terzo ponte. Prima di partire temevo che potesse essere un po' claustrofobica, ma appena entro mi rendo conto che è davvero confortevole: 20 mq ottimizzati al meglio, bagno e guardaroba spaziosi, tutto nuovo e curato. Considerato dove siamo il cibo è buono e lo chef e il suo staff si prodigano ogni giorno per offrire un piatto diverso. Nel pomeriggio nel bar della lounge si trova sempre uno stuzzichino o un dolcetto giusto per tenere lo stomaco allenato.

Salpiamo! Dopo un briefing informativo sulla sicurezza, siamo subito sul ponte sfidando vento e pioggia, per assistere al primo spettacolo: balene e delfini che ci accompagnano per un buon tratto di mare, come se volessero augurarci “buon viaggio”.


Già dal primo giorno la sensazione di essere ai confini del mondo è forte. Saliamo a bordo di zodiac per avvicinarci ai primi ghiacciai. Ci guidano ragazzi specializzati in varie scienze (geografia, glaciologia, zoologia..), sempre disponibili a condividere le loro esperienze. Una volta raggiunto il punto di osservazione e spenti i motori, siamo avvolti dal silenzio e circondati dalla bellezza. Avvistiamo una colonia di foche, tra cui le simpatiche “barbate”.

Alcune di loro sono appollaiate su rocce piccolissime per fuggire velocemente in caso di incontro con il “grande predatore”, altre curiose si avvicinano a noi giocando tra le onde, affiorando in superficie per poi immergersi nuovamente nelle acque gelide. Sbarchiamo su una spiaggia bianchissima, dove facciamo il primo incontro con una volpe artica; sono sorpresa dal suo manto marrone ma una guida mette a nudo la mia ignoranza e mi informa che: “è bianca solo in inverno”.

Oltre la sabbia si estende un “prato” di muschi e licheni, ma ci sono anche dei fiorellini gialli che sopravvivono in questa affascinante desolazione del paesaggio artico.


Oggi il sole splende forte, bellissima giornata per ammirare l’imponente ghiacciaio Monaco. Navighiamo tra iceberg fluttuanti, lo spettacolo che si presenta davanti a noi è davvero impressionante. Un fronte di 5km di ghiaccio con un’altezza che varia tra i 30 e 60 metri. Lo zodiac si ferma per lasciarcelo ammirare e dopo qualche minuto un grosso blocco di ghiaccio si stacca dalla base e con un boato cade fragorosamente in acqua.

Il suono del ghiaccio che si scioglie in mare è simile a uno sfrigolio, al rumore di pioggia battente. Sono bolle d’aria intrappolate nel ghiaccio che scoppiettano al contatto di quest’ultimo con l’acqua salata. Un incredibile e meraviglioso suono della natura!
 
 

Le scogliere di basalto di Alkefjellet, sono l’ennesima emozione. Da lontano si vedono delle pareti rocciose imponenti a picco sul mare punteggiate da macchie scure. Più ci avviciniamo, più ci rendiamo conto che le pareti sono solcate da cascatelle e completamente tappezzate da uccelli, i Guillemot di Brunich.

Le rocce brulicano di vita, si sente solo il gracchiare degli uccelli che comunicano tra loro. Qui i Guillemot vengono a deporre le uova e ad allevare i loro pulcini a cui insegnano a tuffarsi in mare perché è lì che troveranno di che sfamarsi. Non tutti i piccoli ce la fanno. Ne vediamo uno tentennare prima di lanciarsi in volo e cadere sulla roccia prima di raggiungere l’acqua; poco dopo un uovo cade nel vuoto e finisce sulla spiaggia. Una volpe artica, sfuggendo dall’attacco di un gabbiano tridattilo, lo raccoglie prontamente per seppellirlo nella sabbia: sarà la sua dispensa nascosta per i periodi di carenza di cibo.

 

Ma l’orso? Ancora non ne abbiamo visti, ma da qualche parte deve esserci, tanto che ogni giorno lo staff si accerta che dove sbarchiamo non ci sia. Le nostre guide a terra sono sempre armate. La prima volta che ho visto una donna col fucile a Longyearbyen mi sono chiesta dove fossi finita, ma poi diventa normale e sai che l’arma serve in caso di pericolo per difendersi e spaventare l’animale, non per uccidere.
 
Una mattina ci svegliano all’alba, giusto per ricordarci che non è una crociera di piacere, ma una spedizione … e poi, in fondo, in questo periodo dell’anno qui è sempre giorno. Ci invitano a salire tutti sul ponte perché hanno avvistato una famiglia di orsi sulla riva. Imbacuccati alla bella e meglio, imbracciamo i binocoli e scrutiamo l’orizzonte … nessuno vede niente, poi un punto bianco mimetizzato tra le rocce!! Wow! Allora ci sono davvero! Per sicurezza non si può scendere a terra ma ci mettiamo in mare coi gommoni e, all’improvviso ... li vediamo! Una mamma con due cuccioli suoi e altri due più grandi, che ci spiegano essere di un’altra mamma orso che è andata a caccia e li ha lasciati in custodia, 5 orsi bellissimi anche se li vediamo da lontano.
 

Grande escursione, siamo così contenti che il giorno dopo un gruppo di temerari accetta la sfida di gettarsi nelle acque polari per provare l’ebrezza del “polar plunge”, il tuffo polare! Io li guardo da terra ma ormai ci sentiamo tutti dei grandi avventurieri e pensiamo che abbiamo davvero visto tantissimo, manca solo il tricheco e poi la nostra avventura sarà davvero completa. Ma ci sbagliamo.
 
Durante il briefing serale veniamo informati che a causa del cattivo tempo siamo costretti a modificare la rotta e che il giorno seguente si rimarrà in nave. Va bene, ci sta, d’altra parte in queste spedizioni così condizionate dal meteo, un giorno di relax ad ascoltare relazioni scientifiche sull’Artico da parte di esperti è un altro modo per farti vivere appieno il viaggio.

La rotta scelta dal comandante per evitare il brutto tempo è il nord, dritto a nord verso il polo. Più navighiamo più la superficie del mare è coperta da piccoli pezzi di ghiaccio che galleggiano sulle onde come fossero batufoli di cotone che si intensificano miglio dopo miglio, sempre di più fino a riempire tutto il mare, tutto intorno, tutto bianco. Ottantaduesimo parallelo: siamo in mezzo al pack!
 
Nessuno parla, qualcuno si commuove, lasciamo il palco alla natura che si mostra in tutta la sua bellezza. Siamo rimasti a bordo tutta la giornata, ma l’emozione provata non si può spiegare.
 

L’ultimo giorno di crociera, sbarchiamo in una penisola ricoperta di tundra artica, il terreno è morbido e impregnato d’acqua, contornato da una lingua di sabbia sulla quale troviamo ammassata una colonia di trichechi. Ci avviciniamo a distanza di sicurezza, non tanto per la nostra incolumità ma per non disturbarli. Sono esemplari enormi e simpaticamente goffi. Sullo sfondo monti innevati e ghiacciai. Ci regaliamo gli ultimi scatti prima di tornare a bordo della nostra Motonave.

Non vogliamo lasciare questo angolo di mondo che è stato un po' la nostra casa nell’ultima settimana. Siamo tutti sul ponte principale ad ammirare le ultime cartoline di un paesaggio mozzafiato prima di tornare in porto.
 

Penso di poter dire che a ognuno dei miei compagni di viaggio sia capitato, almeno una volta nel corso di questa avventura, di fermarsi a contemplare questa parte di mondo primordiale, immerso in una natura bella e selvaggia da perdere il fiato, che si fa amare e temere, dove sai che non potresti sopravvivere ma in cui non vedi l’ora di ritornare.
 
Non so se esista il “Mal d’Artico”, ma è questa la definizione più vicina all’emozione che mi sono portata a casa.
 
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